martedì 24 febbraio 2015

GAZZETTA, FOGLIO GUERRAFONDAIO E SCANDALISTICO

"Mi chiamo Elena Rosselli e sono l'insegnante della classe di canto della quale si è svolto il saggio domenica 8 u.s. nella sala parrocchiale di Sala Baganza.
Premesso che, tale sala ci è stata concessa e messa a disposizione molto gentilmente, e con un solo giorno di preavviso, dal parroco Don Giovanni, volevo esprimere totale sdegno per quanto scritto  e insinuato nell'articolo comparso sulla Gazzetta di Parma di oggi, in quanto ritengo che non si possano pubblicare fatti avvenuti senza prima verificarne la veridicità e le fonti, soprattutto considerando la delicatezza dell'argomento e la gravità delle accuse.
Posso confermare che le due "fidanzate" in questione, che hanno tutto il diritto di esserlo, non erano state assolutamente invitate all'evento, nè tantomeno sono cugine o parenti in alcun modo di qualcuno dei miei allievi.
Mi sento di esprimere totale solidarietà nei confronti di Don Giovanni, che si è semplicemente sentito in dovere di proteggere e difendere la vista dei molti bambini presenti alla festa, che si sono trovati loro malgrado ad assistere a scene a dir poco imbarazzanti!
L'amore è un diritto di tutti è come tale va protetto e difeso, ma di certo non può essere distorto a proprio piacimento per giustificare comportamenti di ostentato esibizionismo e strumentalizzato in finte battaglie civili o presunte tali".
                   In fede Elena Rosselli  

Non credo siano molti, nel mondo, i quotidiani attualmente più sputtanati della Gazzetta di Parma, meglio conosciuto - e goliardicamente sfottuto - in città e provincia come "giornale dei morti".
Nell'ultimo decennio della sua monarchica direzione molossiana (tramandata di padre in figlio, come la dinastia nordcoreana dei Kim) ha toccato veramente il fondo, dilapidando quel poco di autorevolezza, di serietà e di credibilità faticosamente acquisiti nei precedenti due secoli e mezzo di monopolistica esistenza.

Chiariamoci subito. Non che sia mai stato, questo foglio, un campione della stampa libera o libertaria. Al contrario, con "diabolica" perseveranza ha sempre mantenuto nei secoli, fino ad oggi, la sua originaria funzione di foglio degli annunzi legali dei padroni della città, acquisita al tempo delle sue prime uscite murali, quando rendeva edotti i sudditi degli editti, dei decreti e delle grida dei Duchi di Parma.

La moderna "vocazione" di "servile sudditanza" del foglio mortuario, che oggi viene stampato in via Mantova, nei confronti dei regnanti di turno fu raffigurata in modo  mirabilmente significativo da Giuliano Molossi nel suo editoriale, scritto in occasione della caduta in disgrazia di Calisto Tanzi che, come ben si sa  (e si sapeva), fino al suo arresto, fra il Natale e il capodanno 2003 per il crac Parmalat, teneva saldamente in mano le redini non solo della finanza (a capo delle due maggiori banche parmigiane aveva posto il suo commercialista e un suo dipendente) ma anche delle istituzioni politiche e amministrative della città, vergognosamente asservite (non solo nell'era ubaldiana) ai "desiderata" di lor signori.
Con coraggio e "sprezzo del pericolo" (Tanzi era rinchiuso in San Vittore) scriveva Molossi in quello che diventerà noto come il "discorso della montagna n 2" (dopo quello di Gesù, Matteo 5,1-2): "Tutti noi sapevamo che Tanzi era seduto su una montagna di debiti che aumentava ogni giorno di più". Sapevano in Gazzetta, ma tacevano e sul foglio mortuario continuavano ad essere magnificati, fino al momento del crac, i bilanci di una Parmalat decotta che proseguiva a truffare i risparmiatori rastrellando, con la complicità delle bache, denaro buono in cambio dei famigerati bond carta straccia.
Da rilevare che col crac Parmalat ha cominciato ad entrare in crisi il descritto rapporto di sudditanza della politica alla imprenditoria.Una Crisi che ha raggiunto il suo apice con il rifiuto del sindaco Vignali di portare  a termine  il folle progetto della metropolitana, scatenando le ire del costruttore Pizzarotti e il contemporaneo blitz giudiziario che ha portato alla caduta della amministrazione vignaliana.

La successiva vittoria della scalcinata compagine grillina nelle elezioni comunali della primavera 2012 contro i candidati confindustriali Ubaldi e Bernazzoli ha per la prima volta messo in luce la totale incapacità del foglio confindustriale di influenzare il risultato elettorale e, di conseguenza, la perdità di credibilità e la fuga dei lettori.
Da qui lo sfrenato ricorso alle storiche  tre "S" che da tempo immemorabile alimentano la stampa scandalistica: soldi, sangue e sesso. Ed ecco allora affiancarsi sempre più spesso al protagonismo del dio denaro, tradizionale cavallo di battaglia di questo foglio che sugli affari dei suoi padroni ha costruito le proprie fortune, fatti di sangue e di sesso, per stimolare gli istinti più retrivi e voyeristici dei propri lettori, annoiati e non più appagati ed eccitati dalla semplice lettura dei necrologi, sia pure resa più accattiavante dal look sorridente e variopinto di alcuni dipartiti.

Ed ecco, allora, conquistare prepotentemente la prima pagina qualsiasi incidentucolo stradale che abbia portato in ospedale sanguinante almeno un ferito e il tifo da stadio per le guerre. Ultimo della serie quello dell'editorialista che ha sostituito il guerrafondaio principe "dimissionario" Pino Agnetti, che l'altro giorno mi ha fatto vomitare quando ho letto i suoi incitamenti e applausi a quel ministro di Renzi deficente che voleva mandare subito il nostro esercito in Libia, perché,  in preda a delirio tremens, se l'era fatta sotto dopo aver letto che i tagliagola dell'Isis volevano sbarcare in Italia e conquistare Roma e il Vaticano. Là del sangue ne scorrerebbe davvero a fiumi e il foglio mortuario si rivitalizzerebbe  non poco, soprattutto se venisse sgozzato qualche soldato parmigiano.

Quanto al sesso acchiappalettori, basta andarsi a leggere la lettera della signora Elena Rosselli che introduce questo mio scritto.
Ce l'ha indirizzata l'insegnante di Sala Baganza che si scaglia contro il foglio funerario degli industriali di Parma, esprimendo "totale sdegno" per l'articolo da esso pubblicato il giorno precedente col quale si inventa e monta uno scandalo sessuale, accusando di omofibia il parroco che ha allontanato dalla sala, nella quale si svolgeva un saggio di una scolaresca, una coppia di lesbiche che si esibiva in effusioni di vario genere di fronte a dei bambini.    
          
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I CRAC “GEMELLI” PARMALAT E COOP DI VITTORIO

Quando nei giorni scorsi l'ex vigile urbano del Comune di Fidenza Renato Casetti mi è venuto a raccontare, sconsolato, l' incredibile (per lui, non certo per me) esito della sua denuncia nel 1989 alla Procura di Parma degli intrallazzi fra politici della sua Amministrazione e politici (che poi erano più o meno gli stessi) della cooperativa "rossa" Di Vittorio - oggi agli onori della cronaca per un crac finanziario, simile, anche se, ovviamente, in formato ridotto, a quello della Parmalat - ho subito pensato che la sua triste vicenda giudiziaria fu proprio la prova generale del successivo "insabbiamento", in Tribunale, dello scandalo dei ragionieri di Collecchio, quando, qualche anno dopo, nel 1994, anche quello arrivò in Procura sul tavolo del medesimo pubblico ministero, il Brancaccio.

Due scandali "gemelli" - con migliaia di cittadini truffati dei risparmi di una vita - che avrebbero potuto essere evitati se la Procura della Repubblica di Parma (in quell'epoca comandata da Giovanni Panebianco e dominata da Francesco Saverio Brancaccio) fosse intervenuta dopo essere stata messa a conoscenza, con formali denunce, delle gestioni "anomale" che porteranno poi le due società ai relativi tracolli finanziari.
Nel caso della multinazionale del latte furono alcuni senatori diessini a presentare una interrogazione parlamentare, inviata al dottor Brancaccio, con la quale  informavano il Sostituto Procuratore dei finanziamenti "facili" ottenuti dalle società di Calisto Tanzi dalle due banche cittadine Cassa di Risparmio e Bancamonte, ai cui vertici lo stesso cavaliere (allora potentissimo incontrastato numero uno della imprenditoria parmense) aveva piazzato due suoi uomini di fiducia: nella prima il suo commercialista Silingardi e nella seconda il suo direttore finanziario.

Come detto è l'anno 1994 quando l'interrogazione parlamentare arriva a Brancaccio e questi conferisce - con encomiabile diligenza e solerzia -  al commercialista parmigiano Mario Valla l'incarico formale di effettuare una perizia sulla

situazione finanziaria del colosso di Collecchio. Valla si mette diligentemente al lavoro e butta giù una relazione per il procuratore dalla quale emerge lo stato prefallimentare di Parmalat e della galassia delle sue società partecipate. Una fotografia dello stato disastrato delle finanze delle società di Tanzi, che arriva sul tavolo di Brancaccio nell'aprile 1997, senza però turbare più di tanto il magistrato che, un paio di mesi dopo, chiede l'archiviazione al Gip Adriano Padula il quale, ancor meno turbato del collega, concede l'archiviazione senza fiatare e senza nulla obiettare. Una archiviazione che consentirà poi ai "ragionieri" della Parmalat di sbizzarrirsi nella loro finanza creativa e inondare il mercato dei famosi bond carta straccia che sei anni dopo getteranno nella disperazione migliaia di famiglie quando si renderanno conto di avere perduto - con la fattiva complicità delle banche (al corrente dei bilanci fasulli) - i risparmi di una vita.
Si scoprirà poi che proprio in quei mesi del 1997 - a cavallo di quella archiviazione - la Cassa di Risparmio di Silingardi cominciava a concedere - ad alcuni magistrati del Tribunale di Parma - denaro al tasso incredibile del prime rate diminuito di un punto. Una concessione che puzzava di bruciato, anch'essa dal contenuto molto "creativo", visto che non si trattava di una convenzione normale aperta a tutti i giudici del Tribunale, ma  una speciale elargizione ad personam solo ad alcuni di essi e ad ad alcuni altri importanti pubblici funzionari. E - ma sarà solo stato un caso - fra i fortunati beneficiati da quel denaro a basso costo vi erano anche il Brancaccio e il Padula, cioè i due autori della archiviazione della interrogazione dei senatori diessini. Entrambi costoro, poi, saranno "attenzionati" (anche grazie ai nostri solleciti) dal Csm che comminerà ad essi condanne (confermate poi dalla Cassazione) al trasferimento d'ufficio: a Brancaccio dalla Procura di Parma perché aveva continiuato a dirigere il "processo truffa" contro la nostra stampa libera, nonostante i suoi rapporti ravvicinati con la Cassa di Risparmio; e a Padula da quella di Cremona, per i viaggi da "portoghese" con la Parmatour di Tanzi. 

E ora torniamo alla Di Vittorio. Le sconsolate rivelazioni dell'ex vigile del Comune di Fidenza Renato Casetti mi hanno fatto pensare, come detto, che un insabbiamento "gemello" sia stato messo in pratica qualche anno prima, riguardo proprio allo scandalo, "politico - finanziario", di questa coopertativa recentemente dichiarata fallita dal tribunale di Parma. In quel caso la denuncia dettagliata al Brancaccio di quello che accadeva non fu portata da dei parlamentari, ma da un semplice onesto cittadino che, nell'esercizio delle sue funzioni di vigile urbano, aveva scoperto indicibili "altarini.
Anche il suo esposto fece la stessa fine che sarà poi riservata alla interrogazione parlamentare sui rapporti incestuosi della Parmalat con le "sue" due banche cittadine. Una archiviazione in piena regola che permetterà anche a questa cooperativa - che avrebbe dovuto semplicemente occuparsi di procurare un alloggio popolare, a basso canone, a persone a basso reddito che non potevano permettersi il libero mercato -  di trasformarsi in una banca alla quale i soci avrebbero potuto conferire i loro risparmi fidandosi di contabilità e bilanci taroccati che facevano apparire la cooperativa in buona salute finanziaria. Anche per queste famiglie il "risveglio" è stato analogo a quello dei risparmiatori della Parmalat: anche i loro denari spariti, finiti chissà dove e chissà in quali tasche.

Fine della favola. Anzi no. Mi rimane solo da dire che il vigile Casetti riceverà anche un... "premio speciale"  dallo Stato per avere fatto il suo dovere nell'esercizio delle sue funzioni: un paio di anni dopo, infatti, il Tribunale di Parma lo ha condannato per avere diffamato quei politici (l'intera Giunta del Comune di Fidenza) intrallazzati con la coop. Di Vittorio. Nei suoi scritti aveva infatti osato sostenere (ovviamente una stratosferica menzogna che non stava nè in cielo nè in terra) che esisteva un "complesso sistema  politico - affaristico che governava Fidenza".
E con lui quella giustizia che aveva vigliaccamente chiuso gli occhi su uno dei più grossi scandali dei colletti bianchi (o per meglio dire "rossi") parmensi,  era stata giustamente inesorabile.
Rimane solo da ricordare, cari lettori, che fra i giudici che avevano giustamente condannato il pericolosissimo "delinquente" Casetti - reo di avere cercato di portare alla luce uno scandalo che ora riempiedi disperazione centinaia di famiglie di Fidenza e dintorni, vi era anche un certo Roberto Piscopo che poi farà carriera e diventerà presidente addirittura di due tribunali: quello di Reggio Emilia e quello di Parma.
E anche lui, manco a dirlo, era uno dei giudici che aveva la fortuna di potere attingere, in quegli anni, insieme alla moglie e alla figlia, ai denari della Cassa di Risparmio di Silingardi al tasso agevolatissimo del prime rate diminuita di un punto.



martedì 3 febbraio 2015

GLI INSULTI ALLA MAMMA E I PUGNI DI FRANCESCO

Mi piace poco, cari lettori, scrivere sia di questioni nazionali (che ripropongono a lettere maiuscole e con la cassa di risonanza delle ormai insopportabili trasmissioni televisive praticamente a reti unificate i teatrini locali della politica), sia i fatti internazionali, preferendo, come ben sapete, non sottrarre spazio casereccio nelle poche, ma intense, pagine di questo nostro settimanale.
I fatti di Parigi dello scorso 7 gennaio con l'uccisione dei vignettisti di Charlie Hebdo e di clienti di un supermercato ebraico, non possono rimanere senza commento e senza condanna.

Chi mi conosce, però, sa che io non posso unirmi a tutti coloro che nei giorni successivi hanno seminato odio puntando il dito contro l'Islam e le comunità islamiche che pacificamente da decenni  sono entrate a far parte, a pieno titolo e con pieno reciproco vantaggio, del tessunto economico e sociale delle nostre città e dei nostri paesi. Non posso unirmi, tanto per non fare nomi, agli improperi contro la religione islamica e contro i musulmani vomitati sul foglio mortuario degli industriali di Parma dal direttore e dall'editorialista massone che, mi dicono, avrebbero evocato il pugno di ferro (interventi armati?) contro gli "invasori" coranici e invocato misure restrittive delle libertà in un Paese come il nostro dove come minimo tutti siamo intercettati giorno e notte.

Commento, invece, i fatti di Parigi unendomi alle parole di un papa che mi piace sempre più e che l'altro giorno, dopo aver chiarito che non si può uccidere mai in nome di Dio e affermato che l'irrisione della fede altrui è sbagliata, ha concluso dicendo: «se insulti la mia mamma, ti tiro un pugno».  Così come io, cattolico laicizzato, sarei profondamente offeso e indignato se un vignettista raffigurasse Gesù come quelli del Charli Hebdo hanno raffigurato Maometto (ad esempio a chiappe aperte, sodomizzato) ben comprendo come milioni di islamici siano rimasti offesi e turbati da rappresentazioni di questo tipo del Profeta su cui si basa la loro religione.
Anche la satira, quindi, deve avere questo limite invalicabile: quello di non offendere mai la mamma (o il papà) degli altri: e per noi Gesù Cristo e per gli islamici Maometto sono mamma e papà, cioè la fonte della nostra e della loro esistenza.

Detto questo, ritengo però che la satira c'entri poco e nulla con il terrorismo che ha insanguinato Parigi. Le radici di quell'odio così profondo fino alla soppressione di vite umane non può essere ricercata in alcuni disegni. Ma piuttosto nelle centinaia di migliaia di morti e nelle distruzioni che gli eserciti occidentali hanno seminato nel mondo arabo dopo gli attentati alle torri gemelle dell'11 settembre 2001.Per essere più chiaro, ritengo che le migliaia di potenziali terroristi sparsi per il mondo che metteranno in pericolo le nostre vite e quelle dei nostri figli nel prossimo futuro, siano figli di Bush e di quegli sciagurati governanti occidentali (italiani in testa) che hanno seguito quel presidente americano assetato di sangue nella destabilizzazione del Medio Oriente in nome di una guerra preventiva che, sfruttando la paura procurata nelle nostre popolazioni da quegli attentati, ha eliminato un dittatore (mi riferisco a saddam Hussein) che per nostro conto teneva a bada gli estremisti e i fondamentalisti e che, unico esempio in quell'area, permetteva ai cristiani di professare liberamente la propria religione.

Dopo la "liberazione" dell'Iraq, noi sciagurati, abbiamo anche "liberato", a un tiro di schioppo da casa nostra, la Libia. Altro Stato, guarda caso, dove i pozzi di petrolio sono più numerosi di quelli acquatici. Una "liberazione", questa, voluta dai francesi che non sopportavano i rapporti economici privilegiati intrattenuti dall'Italia con Gheddafi.E, incredibile a dirsi, anche a questa "liberazione" non ci siamo accodati, come sempre, per paura di perdere il posto al tavolo del vincitore.
Grazie a questi nostri lungimiranti governanti, quindi, anche noi italiani siamo in pericolo. E certamente non per le nostre radici cristiane ma per avere partecipato in giro per il mondo a uccisioni e  distruzioni in nome di una civiltà remota e di una democrazia da esportare che non sono altro che le foglie di fico con le quali il nuovo imperialismo occidentale cerca di coprire le ragioni vere, quelle politiche ed economiche, che ci portano a procurare lutti e distruzioni durante le nostre "missioni di pace".