lunedì 10 novembre 2014

I FASCICOLI A LUNGA CONSERVAZIONE DEL PROCURATORE LAGUARDIA

Il dottor Gerardo Laguardia non era solo un Procuratore della Repubblica a... "lunga conservazione", come lo definii la scorsa primavera  per commentare il fatto che era ancora lì sulla poltrona che avrebbe dovuto abbandonare inderoga bilmente e improrogabilmente un anno prima, allo scadere del suo doppio mandato quadriennale. In barba a leggi e regolamenti dell'ordinamento giudiziario che vietano ad un Procuratore  scaduto di rimanere in carica nello stesso ruolo, continuava imperterrito ad esercitare le sue funzioni, evidentemente autorizzato in ciò da un Csm che nominava a macchinetta magistrati direttivi in ogni parte d'Italia, ma che non si decideva mai a designare - chissà perché - il nuovo capo della Procura di Parma.
Laguardia, però, non è stato solo un Procuratore a "lunga conservazione", come detto. Amava tenere anche, nel cassetto, qualche  fascicolo a lunga conservazione.

Uno di questi mi riguardava personalmente, essendo stato formato a seguito di una mia denuncia per calunnia all'allora colonnello dei carabinieri di Parma Gianfranco Petricca, indirizzata personalmente al Procuratore Laguardia nel febbraio 2006 e rimasta "in sonno" (l'uso di questo termine massonico è puramente casuale) fino a pochi giorni fa quando il suo successore dottor Antonio Rustico mi ha avvertito che il fascicolo era rimasto abbastanza nel cassetto di Gerardo e che, dopo quasi nove anni di giacenza, non poteva fare altro che chiedere al Giudice per le Indagini Preliminari  l'archiviazione per intervenuta prescrizione.
Le formule, però, nel diritto processuale penale hanno tutte un significato particolare. E la formula usata dal nuovo Procuratore per decretare l'estinzione del reato è stata quella della prescrizione e non per infondatezza della mia denuncia. Tradotto significa che quella mia denuncia era fondata, anche se vanificata perché rimasta incredibilmente nel cassetto di Laguardia per quasi nove anni, senza che l'ex Procuratore  decidesse - entro i canonici sei mesi - se chiedere l'archiviazione per infondatezza del reato di calunnia o  promuovere l'azione penale nei confronti dell'ex fratello di Licio Gelli. Il tempo a sua disposizione era di sei mesi, e l'abuso di questo magistrato lautamente stipendiato da noi cittadini è durato  nove anni, e senza che dal fascicolo emergesse alcun atto di indagine. Quindi un vero e proprio favore del suo ufficio  finalizzato a tenere indenne da conseguenze penali l'ex comandante dei carabinieri di Parma.

 Ora, però, la verità comincia ad emergere col cambio della guardia in Procura e la mia denuncia contro il Petricca, con una repentina inversione a 360 gradi, viene   ora considerata fondata e meritevole di portare a processo l'ex comandante provinciale dei carabinieri di Parma per calunnia nei miei confronti, cioè per avermi querelato per diffamazione sapendomi innocente. Un grave reato contro l'amministrazione della giustizia, perseguibile d'ufficio, che comporta una pena massima di sei anni di reclusione. Una soddisfazione postuma solo platonica, morale, perché nessun processo al piduista può più essere celebrato essendo intervenuta la prescrizione del reato da lui commesso.
Ma perché mi ero indotto a denunciare l'aderente alla loggia massonica eversiva P2 di Licio Gelli? Lo avevo fatto perché lui mi aveva, a sua volta, querelato per diffamazione avendo pubblicato un articolo (riprodotto integralmente a pagina 4) intitolato "Servitore dello Stato o di se stesso?". Un "fondo", questo, da me scritto dopo avere appreso, leggendo l'archiviazione di un precedente fascicolo a mio carico aperto in Procura,  che  i "suoi" carabinieri avevano effettuato indagini sul mio conto per diffamazione al Petricca senza che il massone piduista avesse nemmeno sporto querela. Indagini "di iniziativa", come le chiamano loro, illegittime, però, quando si procede per reati perseguibili a querela di parte, soprattutto se condotte - come contro di me e il mio giornale - per la bellezza di tre anni.

Non tutti i fascicoli che Lguardia avocava a sé, occorre dirlo, erano a lunga conservazione. In certi casi questo magistrato, approdato a Parma grazie  agli intrallazzi romani del sindaco Elvio Ubaldi, si trasformava in uno  "speedy gonzales" della inquisizione. Faccio solo due esempi. Quando archiviò in quattro e quattr'otto, appena preso possesso della sua poltrona di Procuratore Capo, il mega  scandalo del Duc che vedeva indagato, guarda caso, proprio Ubaldi, suo "benefattore".
E una velocità simile Laguardia la impresse proprio alle indagini (si fa per dire) contro di me per l'ultima querela calunniosa del Petricca. Mentre infatti la mia denuncia  per calunnia languiva senza speranza nel fondo (o sottofondo) del suo cassetto, quella di Petricca contro di me subiva una accelerazione che, come un boomerang,  andava poi ad infrangersi in Corte d'Appello a Bologna al cospetto di giudici veri che demolivano  la sentenza di stampo fascista (condanna a 14 mesi di reclusione, sei in più degli 8 chiesti dal Pm su ordine di Laguardia) raffazzonata alla bell'e meglio dal giudice Scippa che qualche tempo dopo, in preda forse al rimorso, si farà saltare le cervella.

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