martedì 4 novembre 2014

PIZZAROTTI E Il PIEDE IN DUE STAFFE


Tenere un piede in due scarpe, cari lettori, è uno dei principali  sport nazionali. Praticato da molti, specialmente nel mondo dei politicanti che addirittura ora l'hanno istituzionalizzato con il patto del Nazareno Berlusconi - Renzi. Un patto scellerato che rappresenta l'ultima trovata degenerativa di un sistema politico marcio e putrefatto che per decenni si è retto sul ladrocinio e sulla corruzione sfrenata (metà di quella europea è prodotta nella cattolicissima Italia) che ha finito per corrodere e mangiare anche se stesso. Un patto amorale e contro natura di una politica che ha travalicato ormai da tempo i confini del comune senso del pudore ma che consente all' ex cavaliere condannato per frode allo Stato di stare con un piede al governo ed uno all'opposizione, garantendo ancora per un po' la sopravvivenza a se stesso e a un giovane presidente del Consiglio che sembra essere stato creato da una sua costola, a sua immagine e somiglianza.

Non a tutti, però, cari lettori, è consentito il privilegio di tenere un piede in due staffe. Per farlo occorre essere fatti di pasta omogenea, della stessa natura. Occorre essere le classiche due facce della stessa medaglia. Berlusconi può stare contemporaneamente al governo e all'opposizione perché il fenomeno Renzi non è spuntato per caso in questo paludoso mondo politico ma è un prodotto di ingegneria genetica costruito in laboratorio da quel sistema  debosciato che, vistosi minacciato di morte dallo spuntare spontaneo dalla rabbia popolare del movimento rivoluzionario di Beppe Grillo, è riuscito a correre disperatamente ai ripari  riunendo in una le facce della stessa medaglia per sopravvivere ancora un po'.


 E non è detto che questa operazione rigenerativa abbia durata breve. Si è infatti  riprodotto in questi mesi lo stesso fenomeno che esattamente vent'anni fa vide spuntare dal nulla proprio il berlusconesimo. Allora la minaccia mortale al sistema amorale e perverso dei partiti mangiatutto, messo a nudo da Tangentopoli, fu rappresentato dalla Lega di Bossi.Un movimento politico rapidamente messo al bando, come quello di Grillo, dai giornali e dalle televisioni di Stato, organi non di informazione ma di propaganda, direttamente colonizzati o indirettamente controllati dai partiti tradizionali post democristiani o post comunisti, di destra o di sinistra. Emarginato, denigrato e messo in quarantena affinché non diffondesse i suoi germi, esattamente come accade oggi al Movimento pentastellato.

E allora la rabbia popolare contro la partitocrazia ladrona venne controllata e sopita proprio dalla "discesa in campo" di Berlusconi che fece credere a milioni di italiani di rappresentava il nuovo, la politica onesta, pulita, in contrapposizione a quella dei lestofanti. E che, poco alla volta, riuscì ad assorbire  e   a incorporare non solo le varie frange destrorse dei partiti distrutti dai pm di tangentopoli, ma anche lo stesso partito di Bossi che, arrivato a Roma, nella stanza dei bottoni, abbandonò ogni velleità rivoluzionaria fino ad integrarsi perfettamente, come sappiamo, nel sistema corrotto di questa sciagurata repubblica.

Come detto, quindi, per poter tenere il piede in due staffe occorre essere fatti della stessa pasta. Cosa che non è consentita - e qui vengo al nocciolo di questo lungo preambolo - al nostro sindaco Federico Pizzarotti.
Io lo avevo avvertito fin da subito che la sua politica del doppio binario (ammiccamento sempre crescente con i poteri forti locali che avevano fatto di tutto per contrastare la sua elezione, senza rinnegare ufficialmente la sua appartenenza al Movimento 5 Stelle) gli avrebbe forse consentito, all'inizio, di navigare in acque meno burrascose. Ma che, a lungo andare, i politici di professione locali, destrorsi e sinistrorsi, tutti in diversa misura corresponsabili del dissesto economico prodotto delle dissennate e sciagurate amministrazioni ubaldiane, senza una netta rottura con il passato e  una chiara denuncia e presa di distanze da questa pregressa stagione politica (e dai suoi padroni e padrini), avrebbero finito per  attribuirgli responsabilità che non gli competono.

Federico Pizzarotti ha forse finalmente aperto gli occhi in questi giorni in cui i vecchi marpioni della politica locale hanno attribuito a lui gli effetti catastrofici di una alluvione, quella del Baganza, che ha, invece, le sue radici nella scriteriata città cantiere di Ubaldi che ha disseminato la città di opere assurde e cattedrali nel deserto anziché destinare quei denari a lavori di pubblica utilità come doveva essere la messa in sicurezza del Baganza. Pizzarotti forse l'ha capito solo ora. Me lo fa pensare quel  passo della sua lettera di discolpa che pubblichiamo in altra pagina, indirizzata ai Ponzio Pilato di casa nostra, nella quale tira finalmente fuori le palle dicendo  che l'esondazione si sarebbe evitata se ci fosse stata "l’accortezza di realizzare una cassa d’espansione nel Baganza, anziché pensare a ponti che collegano il nulla col nulla, o a stazioni ferroviarie mastodontiche". Affermazione, questa, che mi fa pensare anche che il sindaco abbia letto nei giorni scorsi la Voce di Parma.         

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