martedì 24 febbraio 2015

I CRAC “GEMELLI” PARMALAT E COOP DI VITTORIO

Quando nei giorni scorsi l'ex vigile urbano del Comune di Fidenza Renato Casetti mi è venuto a raccontare, sconsolato, l' incredibile (per lui, non certo per me) esito della sua denuncia nel 1989 alla Procura di Parma degli intrallazzi fra politici della sua Amministrazione e politici (che poi erano più o meno gli stessi) della cooperativa "rossa" Di Vittorio - oggi agli onori della cronaca per un crac finanziario, simile, anche se, ovviamente, in formato ridotto, a quello della Parmalat - ho subito pensato che la sua triste vicenda giudiziaria fu proprio la prova generale del successivo "insabbiamento", in Tribunale, dello scandalo dei ragionieri di Collecchio, quando, qualche anno dopo, nel 1994, anche quello arrivò in Procura sul tavolo del medesimo pubblico ministero, il Brancaccio.

Due scandali "gemelli" - con migliaia di cittadini truffati dei risparmi di una vita - che avrebbero potuto essere evitati se la Procura della Repubblica di Parma (in quell'epoca comandata da Giovanni Panebianco e dominata da Francesco Saverio Brancaccio) fosse intervenuta dopo essere stata messa a conoscenza, con formali denunce, delle gestioni "anomale" che porteranno poi le due società ai relativi tracolli finanziari.
Nel caso della multinazionale del latte furono alcuni senatori diessini a presentare una interrogazione parlamentare, inviata al dottor Brancaccio, con la quale  informavano il Sostituto Procuratore dei finanziamenti "facili" ottenuti dalle società di Calisto Tanzi dalle due banche cittadine Cassa di Risparmio e Bancamonte, ai cui vertici lo stesso cavaliere (allora potentissimo incontrastato numero uno della imprenditoria parmense) aveva piazzato due suoi uomini di fiducia: nella prima il suo commercialista Silingardi e nella seconda il suo direttore finanziario.

Come detto è l'anno 1994 quando l'interrogazione parlamentare arriva a Brancaccio e questi conferisce - con encomiabile diligenza e solerzia -  al commercialista parmigiano Mario Valla l'incarico formale di effettuare una perizia sulla

situazione finanziaria del colosso di Collecchio. Valla si mette diligentemente al lavoro e butta giù una relazione per il procuratore dalla quale emerge lo stato prefallimentare di Parmalat e della galassia delle sue società partecipate. Una fotografia dello stato disastrato delle finanze delle società di Tanzi, che arriva sul tavolo di Brancaccio nell'aprile 1997, senza però turbare più di tanto il magistrato che, un paio di mesi dopo, chiede l'archiviazione al Gip Adriano Padula il quale, ancor meno turbato del collega, concede l'archiviazione senza fiatare e senza nulla obiettare. Una archiviazione che consentirà poi ai "ragionieri" della Parmalat di sbizzarrirsi nella loro finanza creativa e inondare il mercato dei famosi bond carta straccia che sei anni dopo getteranno nella disperazione migliaia di famiglie quando si renderanno conto di avere perduto - con la fattiva complicità delle banche (al corrente dei bilanci fasulli) - i risparmi di una vita.
Si scoprirà poi che proprio in quei mesi del 1997 - a cavallo di quella archiviazione - la Cassa di Risparmio di Silingardi cominciava a concedere - ad alcuni magistrati del Tribunale di Parma - denaro al tasso incredibile del prime rate diminuito di un punto. Una concessione che puzzava di bruciato, anch'essa dal contenuto molto "creativo", visto che non si trattava di una convenzione normale aperta a tutti i giudici del Tribunale, ma  una speciale elargizione ad personam solo ad alcuni di essi e ad ad alcuni altri importanti pubblici funzionari. E - ma sarà solo stato un caso - fra i fortunati beneficiati da quel denaro a basso costo vi erano anche il Brancaccio e il Padula, cioè i due autori della archiviazione della interrogazione dei senatori diessini. Entrambi costoro, poi, saranno "attenzionati" (anche grazie ai nostri solleciti) dal Csm che comminerà ad essi condanne (confermate poi dalla Cassazione) al trasferimento d'ufficio: a Brancaccio dalla Procura di Parma perché aveva continiuato a dirigere il "processo truffa" contro la nostra stampa libera, nonostante i suoi rapporti ravvicinati con la Cassa di Risparmio; e a Padula da quella di Cremona, per i viaggi da "portoghese" con la Parmatour di Tanzi. 

E ora torniamo alla Di Vittorio. Le sconsolate rivelazioni dell'ex vigile del Comune di Fidenza Renato Casetti mi hanno fatto pensare, come detto, che un insabbiamento "gemello" sia stato messo in pratica qualche anno prima, riguardo proprio allo scandalo, "politico - finanziario", di questa coopertativa recentemente dichiarata fallita dal tribunale di Parma. In quel caso la denuncia dettagliata al Brancaccio di quello che accadeva non fu portata da dei parlamentari, ma da un semplice onesto cittadino che, nell'esercizio delle sue funzioni di vigile urbano, aveva scoperto indicibili "altarini.
Anche il suo esposto fece la stessa fine che sarà poi riservata alla interrogazione parlamentare sui rapporti incestuosi della Parmalat con le "sue" due banche cittadine. Una archiviazione in piena regola che permetterà anche a questa cooperativa - che avrebbe dovuto semplicemente occuparsi di procurare un alloggio popolare, a basso canone, a persone a basso reddito che non potevano permettersi il libero mercato -  di trasformarsi in una banca alla quale i soci avrebbero potuto conferire i loro risparmi fidandosi di contabilità e bilanci taroccati che facevano apparire la cooperativa in buona salute finanziaria. Anche per queste famiglie il "risveglio" è stato analogo a quello dei risparmiatori della Parmalat: anche i loro denari spariti, finiti chissà dove e chissà in quali tasche.

Fine della favola. Anzi no. Mi rimane solo da dire che il vigile Casetti riceverà anche un... "premio speciale"  dallo Stato per avere fatto il suo dovere nell'esercizio delle sue funzioni: un paio di anni dopo, infatti, il Tribunale di Parma lo ha condannato per avere diffamato quei politici (l'intera Giunta del Comune di Fidenza) intrallazzati con la coop. Di Vittorio. Nei suoi scritti aveva infatti osato sostenere (ovviamente una stratosferica menzogna che non stava nè in cielo nè in terra) che esisteva un "complesso sistema  politico - affaristico che governava Fidenza".
E con lui quella giustizia che aveva vigliaccamente chiuso gli occhi su uno dei più grossi scandali dei colletti bianchi (o per meglio dire "rossi") parmensi,  era stata giustamente inesorabile.
Rimane solo da ricordare, cari lettori, che fra i giudici che avevano giustamente condannato il pericolosissimo "delinquente" Casetti - reo di avere cercato di portare alla luce uno scandalo che ora riempiedi disperazione centinaia di famiglie di Fidenza e dintorni, vi era anche un certo Roberto Piscopo che poi farà carriera e diventerà presidente addirittura di due tribunali: quello di Reggio Emilia e quello di Parma.
E anche lui, manco a dirlo, era uno dei giudici che aveva la fortuna di potere attingere, in quegli anni, insieme alla moglie e alla figlia, ai denari della Cassa di Risparmio di Silingardi al tasso agevolatissimo del prime rate diminuita di un punto.



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