venerdì 23 gennaio 2015

GIULIANO MOLOSSI, UN GIORNALISTA PER TUTTE LE STAGIONI

Ne è passata molta, cari lettori, di acqua sotto i ponti della Parma -  nel frattempo aumentati con la criminale costruzione di quello a Nord, abusivo, dei "fantasmi" (che non si comprende come non sia stato ancora "attenzionato", quanto meno dopo il recente straripamento del torrente proprio in quel punto,  dalla attivissima Pm anticorruzione Paola Dal Monte e non sia ancora finito in galera nessuno di coloro che lo hanno ideato, progettato e costruito) da quegli anni nei quali il signor Giuliano Molossi agiva da agente fiancheggiatore, fomentatore e ispiratore di quella portentosa macchina da guerra frettolosamente allestita fra via al Ponte Caprazucca (Unione Industriali) e piazzale Corte d'Appello (Tribunale e Procura) per debellare la nostra stampa libera che improvvisamente - sul finire del secolo scorso - era apparsa nelle edicole denunciando i copiosi affari privati coi soldi pubblici dei signorotti della città (col benestare dall'Autorità Giudiziaria) e minacciando un bisecolare monopolio della informazione o, per essere più precisi, della disinformazione, del loro foglio mortuario, alias Gazzetta di Parma.

 Ne è passata molta di acqua sotto i ponti da quando fra via al Ponte Caprazucca e Piazzale Corte d'Appello fu frettolosamente  messa in piedi una cooperativa che aveva allestito in fretta e furia una perfetta macchina del fango. Praticamente una catena di montaggio della denigrazione per eliminare la nostra stampa libera, unico ostacolo alla colonizzazione dei vari enti pubblici (Comune e Provincia in testa), alla mercé degli interessi confindustriali, in primis dei cementificatori della città.
I padroni del Molossi ci denunciavano a raffica alla compiacente Autorità Giudiziaria (in realtà una cozzaglia di sedicenti magistrati che abbiamo poi appreso essere quasi tutti prezzolati dalla Cassa di Risparmio di Silingardi), la quale, con tutti i crismi e i timbri della legalità assumeva i provvedimenti più duri rinvenuti dentro (e fuori) i codci: condanne, perquisizioni, sequestri. E poi entrava in funzione lui, il Molossi, nella veste di spargitore del fango, specializzato tramite il fogliaccio confindustriale oltre che nell'elargire lodi sperticate ai potenti e ai loro sodali, nello sputtanare chi cercava di opporsi alla loro prepotenza.     

La sua maestria nello spargere fango su di me raggiunse l'apice quando cercarono di mettermi il bavaglio con due provvedimenti giudiziari vomitevoli, degni delle migliori repubbliche delle banane, senza precedenti, dopo la caduta del ventennio fascista, nei confronti di un giornalista. Il primo doveva rappresentare il decisivo colpo al cuore con la definitiva chiusura di questa nostra "Voce di Parma" che, fra lo stupore generale (e la rabbia di lor signori), ero riuscito a fare uscire nelle edicole, praticamente senza soliuzione di continuità, dopo il blitz poliziesco giudiziario che aveva portato alla distruzione del "Giornale di Parma". Il Gip Padula mi sospese dall'Ordine dei  Giornalisti per due mesi su richiesta del Pm Gigliotti per "reiterazione del reato di diffamazione" a seguito di due querele (guarda caso la prima di Guido Barilla e la seconda di Marco Rosi) reo di avere svelato ai parmigiani lo scandalo dei fondi neri della Gazzetta di Parma ("insabbiato" ovviamente dal Tribunale) con i quali Giorgio Orlandini, direttore dell'Unione Parmense degli Industriali, foraggiava - tramite bustarelle -  politici e amministratori locali e nazionali, ricevendo in cambio appalti pilotati alle sue imprese. Il Molossi celebrò l'evento titolando trionfalmente: "Castellini non può fare il giornalista". L'euforia, i brindisi e i festeggiamenti in "cooperativa", però, durarono poco perché la nostra "Voce" continuò a uscire nelle edicole grazie a un bravo e coraggioso (di fegato ne occorreva non poco in quel periodo per tenere in piedi questo nostro giornale contro la furia "omicida" di questa macchina da guerra allestita per annientarci) giornalista napoletano, Maurizio Esposito, che mi sostituì alla direzione del giornale.

Il secondo provvedimento  di stampo fascista - anche questo adeguatamente pubblicizzato dal Molossi -  fu la mia incriminazione (seguita poi da una duplice condanna, una ad Ancona e una a Parma) per ricettazione nel cosiddetto "processo truffa".  Alla cooperativa del fango industrial - giudiziaria occorreva denigrarmi con un reato infamante. E il Molossi si guardò bene dal chiarire - anche nell'interesse della categoria giornalistica a cui lui stesso apparteneva (ma evidentemente sapeva che a Parma in Tribunale lui non correva alcun rischio del genere) -  che si trattava di "ricettazione di notizie" (la pubblicazione di estratti conto di un prefetto e di due magistrati)  e quindi di un reato inesistente nel codice penale italiano, come poi sanciranno, dopo molti anni, all'unisono, le Corti d'Appello di Ancona e di Bologna annullando le due condanne staliniane.
Ne è passata da quei tempi di acqua sotto i ponti della Parma. E noi, cari lettori, a dispetto di quella cooperativa industrial-giudiziaria che agiva in simbiosi mutualistica, siamo ancora qui, dopo tre lustri, a denunciare gli scandali e gli affari che i poteri forti continuano con pervicacia a fare a danno  dei cittadini, continuando a intrallazzare con quei politicanti che la rivoluzione popolare "grillina" ci aveva illuso fossero stati scacciati dai palazzipubblici per sempre.
Siamo ancora qui, miracolosamente in piedi, ancora, purtroppo per loro,  con la schiena dritta, dopo avere pazientemente visto passare sulla Parma - come ci hanno insegnato i cinesi -  molti cadaveri di coloro che ci volevano distruggere.

Ho visto passare Adriano Padula, il giudice che mi aveva sospeso dall'Ordine dei Giornalisti, con in mano una condanna del Csm (cacciato anche da Cremona perché città troppo vicina a Parma) per essere stato foraggiato da Calisto Tanzi (uno dei padroni del Molossi) con i viaggi gratis della Parmatour. Ho visto passare Francesco Saverio Brancaccio, nero dalla rabbia per essere stato mandato via da Parma per i soldi presi dalla Cassa di Risparmio mentre pilotava sotto banco il  "processo truffa", iniziato lo stesso giorno in cui lui incassava dalla banca quasi 200 milioni di lire a titolo di transazione a "luci spente" di una causa civile strumentale intentata a seguito della pubblicazione dei suoi estratti conto.
Ho visto passare l'allora presidente del Tribunale Lanfranco Mossini - che aveva raccolto lefirme in Tribunale per una incredibile richiesta di tutela al Csm contro la nostra stampa libera - mentre si recava a Salsomaggiore dal giornalista Antonio Baroni a supplicarlo di prendere il mio posto alla direzione del Giornale di Parma.

Ho visto passare Giovanni Panebianco, capo della Procura, con in mano un foglio di via, "invitato" dal Csm a togliersi di mezzo dopo il suo rinvio a giudizio a Firenze con Silingardi per corruzione in atti giudiziari e falso.
Ho visto un altro giudice che, appena arrivato a Parma, mi aveva confezionato un altro processo staliniano (anche questo annullato in Corte d'Appello), passarmi davanti, cadavere davvero, perché si era fatto saltare le cervella. Ho visto transitare sull'acqua, con le manette ai polsi, l'ex presidente della Cariparma Luciano Silingardi, elargitore di denaro a buon mercato (prestiti al tasso del prime rate diminuito di un punto) ad alcuni giudici, guarda caso tutti molto attivi nella coopertaiva industrial-giudiziaria che avrebbe dovuto distruggere la nostra stampa libera, con in tascauna condanna definitiva per bancarotta e associazione per delinquere.
 Molossi, invece, è ancora lì, sempre uguale, inossidabile.
Un giornalista per tutte le stagioni. In questi tre lustri lo abbiamo visto magnificare le gesta dei due sindaci che hanno portato Parma alla rovina. Prima al servizio propagandistico della "città cantiere" di  Elvio Ubaldi, ruolo nel quale sfiorò addirittura la genialità quando pubblicò le pagelle entusiaste dei parmigiani, facendo poi ridere tutta la città quando si scoprì che il "sondaggio" era un tarocco, frutto di tremila tagliandi ritagliati dal foglio mortuario confindustriale tutti compilati da un soggetto goliardico che poi fu premiato con un assessorato da Vignali. E poi, sulla stessa lunghezza d'onda, i  rapporti camerateschi con Vignali, prima della sua caduta in disgrazia per lo "sgarro" della metropolitana al re del cemento parmigiano. Basta dare un'occhiata alle intercettazioni per vedere come i due fossero in sintonia al punto di scegliere insieme anche i direttori degli altri giornali.

E c'è da dire che anche con l'attuale sindaco, dopo lo schok subito per la mancata elezione deicandidati confindustriali Ubaldi e Bernazzoli, il rapporto pare essersi ripristinato sugli antichi standard.
Molossi, quindi, è ancora lì e sempre pronto ad attivare la sua macchina del fango. La condanna che gli hanno rifilato la scorsa settimana in Tribunale per violazione della privacy di una prostituta (non è la prima volta, tra l'altro,  che incappa in simili censure: nel 2009 fu condannato in sede disciplinare dall'Ordine dei Giornalisti di Milano per avere rivelato la condizione di figlio adottivo del fratellino del piccolo Tommy) mi fa però pensare - e sperare - che non siano più molti i giudici a volere entrare in quella coopertaiva spargifango  che, lungi dall'aver ottenuto la distruzione di questo nostro piccolo grande giornale (come si può toccare con mano leggendo queste mie righe) ha procurato qualche danno a qualcuno (non a  tutti, purtroppo, ma noi, come i cinesi, siamo sempre lì a guardare quello che passa lungo il torrente) di quei sedicenti magistrati che hanno in realtà gettato fango sulla loro toga  e tradito il giuramento di fedeltà allo Stato per perseguire bassi interessi di bottega. 



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