Abitava nello stesso quartiere, il Montanara, andato sott'acqua per la furia del Baganza e avrebbe potuto assistere - magari aggrappato al camino o all'antenna della Tv, scappato sul tetto della casa per tema di vedersi arrivare addosso fra le sue mura domestiche tonnellate di melma - allo straripamento del torrente, allo sradicamento della vegetazione, al rumore sinistro dei container e degli alberi sbattuti contro i ponti, allo schianto delle automobili sollevate dalle strade come fossero bidoni di plastica, scaraventate contro i muri, le cancellate dei palazzi, i tronchi delle piante e parcheggiate, magari con le ruote all'insù, nell'orto di un vicino.
E poi, il giorno dopo, avrebbe potuto vedere l'altra faccia prodotta da quella "sua" città cantiere. Un piccolo esercito di ragazzini, vestiti con jeans e stivali di gomma, armati di scope e pale, passare di casa in casa a soccorrere le persone anziane, svuotare dal fango cantine, garage e primi piani delle case, ammassare detriti e suppellettili distrutti, ripulire strade e marciapiedi.
Un piccolo esercito di ragazzini, parmigiani o piovuti da chissà dove, che andava ingrossandosi di ora in ora, che, senza chiedere nulla in cambio, faceva materialmente sentire a tanta gente disperata, che per tante ore si era sentita abbandonata a se stessa, che non erano soli ad affrontare quella immane tragedia. Un piccolo meraviglioso esercito di ragazizni che in poco tempo è diventato la vera protezione civile in questa città dove incredibilmente, nel momento dell'emergenza, erano saltate tutte le comunicazioni, anche quelle via internet che di solito si sostituiscono a quelle telefoniche in caso di calamità.
Ecco le due facce di Parma. Una città devastata da una natura che si è ribellata a politici inetti e megalomani che per decenni hanno sperperato montagne di pubblico denaro per opere assurde e inutili. O meglio, utili solo ai cementificatori che le costruivano, non certamente ai cittadini che le pagavano.
E l'ultima montagna di soldi dei cittadini veniva "sputtanata" da Ubaldi per costruire la più demenziale cattedrale nel deserto che mente umana potesse concepire. Mi riferisco, ovviamente, a quel ponte a nord sulla Parma che, in occasione di quest'ultima piena, ha rischiato addirittura di ostruire un torrente che si era inteso mettere in sicurezza costruendo quelle casse di espansione in località Mamiano che pare abbiano salvato in questi giorni la città da una inondazione che avrebbe rappresentato una catastrofe di inimmaginabili proporzioni.
Ebbene il mixage fra politici e amministratori megalomani e servi dei potenti, architetti scriteriati e costruttori famelici, abituati a mungere gli enti pubblici "collusi" fino a mangiarsi anche le mammelle, ha prodotto quella costruzione obroriosa in mezzo al torrente, contro la quale è andata paurosamente ad infrangersi l'ondata di piena della Parma. Una vera e propria cattedrale nel deserto che da qualsiasi altra parte del globo avrebbe anche portato in galera i suoi ideatori perché concepita nel totale disprezzo delle norme giuridiche che vietano tassativamente di costruire manufatti destinati ad essere abitati sugli alvei dei fiumi.
Perché il piccolo zar di provincia ha preferito e i suoi politici di riferimento romani hanno preferito scialacquare quei soldi in una costruzione abusiva sul greto della Parma? Un'opera assurda e criminale che andava ad aggiungersi a tante altre della stessa categoria, come il ponte sbilenco a sud sulla Parma, la passerella ciclopedonale sulla via Emilia, lo scempio di piazza Ghiaia e altre solo immaginate progettate da quei cervelli megalomani e per fortuna abortite come la follia della metropolitana e lo stupro dell'Ospedale
Vecchio.
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