lunedì 6 ottobre 2014

QUANDO IL GRAN MAESTRO CERCO' DI METTERCI IL BAVAGLIO

La lettera inviata la scorsa settimana dal "cattolicissimo" (autodefinizione) Carlo Salvatori non a noi (chissà perché?) ma al foglio mortuario degli industriali di Parma, è non solo denigratoria nei nostri confronti per gli insulti gratuiti che ci propina, ma anche e soprattutto patetica, stante il penoso tentativo di rinnegare una appartenenza ad una associazione segreta - quella dei fratelli incappucciati - che non ci siamo certamente inventati noi, ma che è rivelata da un documento ufficiale proveniente da una indagine della Procura della repubblica, da noi tra l'altro già reso noto anni fa, senza suscitare, allora, alcuna reazione da parte del banchiere. Cosa che ci fece pensare che, lungi dal rinnegare la conclamata sua appartenenza alla massoneria, ne andasse addirittura fiero e orgoglioso.
 C'è da capirlo. I tempi sono profondamente cambiati. Allora, quasi tre lustri fa, il Salvatori era all'inizio di una brillante carriera e vestire il "grembiulino" si sa, anche nel mondo bancario, come in quello ospedaliero, universitario e imprenditoriale in genere, può aiutare a superare ostacoli e concorrenti quando si è in corsa per i traguardi più ambiti.

Oggi, però, che Carlo Salvatori entra a far parte della corte del Papa diventando uno dei consiglieri di amministrazione dello Ior, la banca vaticana, avergli tolto il cappuccio dalla testa ed avere mostrato il
suo volto deve averlo indispettito non fosse altro per il fatto che anche dopo la nomina dell'innovatore Papa Francesco, rimane intatta la condanna e la scomunica di Santa Romana Chiesa, senza se e senza ma, nei
confronti delle massonerie di vario stampo e dei massoni che vi aderiscono.

A chi chiedeva se il giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria fosse mutato, per il fatto che essa non venga espressamente menzionata nel nuovo Codice di Diritto Canonico, con un documento pubblicato il 26 novembre 1983 dalla Congregazione per la dottrina della fede, redatto dal futuro papa Joseph Ratzinger e approvato da papa Giovanni Paolo II si enunciava: "Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, perché i loro principi sono sempre stati considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche
sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione".

Ovvio, quindi, che nel momento in cui Salvatori viene chiamato ad amministrare la "banca del papa" si sia resa necessaria - qualcuno in alto loco deve avergliela richiesta per salvare le apparenze - la smentita fatta tramite il foglio funerario di casa nostra.
Non è la prima volta, tra l'altro, che la nostra stampa libera è oggetto di tentativi di censura quando cerca di sollevare un velo su questo mondo occulto che proprio sull'incappucciamento, cioè sulla segretezza
della identità dei suoi adepti, fonda la propria ragion d'essere e la propria capacità di pemetrare, influenzare e inquinare pesantemente le attività dei palazzi istituzionali, compresi quelli - e di questo ne siamo testimoni oculari - che amministrano la giustizia.

Accadde già in quegli anni che cominciai a pubblicare sul "Giornale di Parma" i primi nomi dei massoni parmigiani. Il panico si impadronì di questa grande e strapotente famiglia quando parlai di loro in un fondo
intitolato "Diritto massonico parmigiano". Vi introdussi un rigo con un numerino (ricevuto anonimamente da un lettore) che individuava la loggia di appartenenza di un vecchio avvocato massone che avevo visto poco
tempo prima fare il bello e cattivo tempo in tribunale. La cosa che più mi aveva colpito in lui era stata l'"agilità" con cui si muoveva, nonostante l'età, dentro l'ufficio di un giudice che aveva poi
sequestrato i beni del giornale per conto di un noto imprenditore parmigiano, noto anche a quasi tutte le Procure d'Italia, più volte arrestato (mai però a Parma)e diverse volte condannato per reati contro
la pubblica amministrazione. Il dubbio che mi aveva assalito fu che quel giudice non fosse solo un somaro, ignorante delle leggi, ma invece un "fratello" degli altri due (imprenditore e suo avvocato), obbediente
cioè, anziché alle leggi, alla legge delle logge.
 Quel numerino, comunque, gettò il panico fra i "fratelli" di Parma che mobilitarono addirittura il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Niente meno, quindi, che il potentissimo grande capo della massoneria. Questi si arrabbiò non poco con noi, come risulta dalla sua lettera che pubblichiamo in altra pagina di questo giornale.Ma non ottenne un gran che. Gli risposi con un altro fondo intitolato "I massoni han tremato" dove sostenevo che se questa associazione è benemerita e i suoi fini sono filantropici, come sostengono loro, non c'era motivo perché nascondessero la loro faccia. E gli dissi che se invece si tratta di una organizzazione occulta che protegge e promuove gli interessi degli aderenti, a danno quindi dei restanti cittadini, questi ultimi, cioè i cittadini che non ne fanno parte, hanno il diritto sacrosanto di difendersi strappando loro il cappuccio dalla testa.
Di fronte a questo conclamato diritto alla legittima difesa, il Gran Maestro della massoneria si rivolse al garante della privacy che, per nostra fortuna, allora era il professor Stefano Rodotà. Di fronte a quella richiesta di inibirci la pubblicazione degli elenchi degli associati, rispose picche, dichiarando inammissibile il ricorso. Non ammetteva ricorsi collettivi. Ogni massone, gli rispose Rodotà, avrebbe
dovuto proporre un ricorso individuale, firmandolo di proprio pugno. I massoni di Parma non accolsero il mio appello a proporre questi ricorsi individuali. Capirono che se lo avessero fatto, avrebbero dovuto
togliersi il cappuccio e noi non avremmo avuto alcun bisogno di pubblicare i loro elenchi per difenderci.

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