lunedì 27 luglio 2015

IL “SISTEMA PARMA” DEGLI APPALTI TRUCCATI CLONATO IN SICILIA PER SPECULARE SUGLI ULTIMI DELLA TERRA



Non risultando indagato, almeno per il momento, alcun pezzo grosso della Pizzarotti nella mega inchiesta denominata "Mafia Capitale", partita da Roma e arrivata come uno tsunani a lambire la costa sicula, travolgendo il villaggio Vip "Cara Mineo" che  il  colosso del cemento parmigiano aveva messo a disposizione nel 2011 del drammatico sbarco di disperati in fuga dalle guerre e dalla fame, con una generosità e abnegazione che avevano commosso l'Europa e intenerito il cuore addirittura  del leghista duro e puro Roberto Maroni, fino a  quel momento  terribile ministro dell'interno fautore del respingimento anche a costo di sparare sui barconi, devo immaginare che il dottor Paolo, patron della samaritana ditta, sia baciato da una fortuna invidiata da chiunque partecipi a un appalto: quella di vincere gare  grossolanamente truccate a suo favore, senza che lui lo sappia.
Proprio come accadeva all'ex ministro ligure Claudio Scajola che aveva avuto il culo di vedersi pagare a sua insaputa un immobile romano con vista sul Colosseo.
Sono eventi che accadono solo nelle migliori famiglie, non certo ai barboni che vivono sotto i ponti.
E non è nemmeno la prima volta che il dottor Paolo Pizzarotti riceve importanti doni senza saperlo. Lui stesso (lo mise nero su bianco in un verbale di interrogatorio del Pm fiorentino dottor Pietro Suchan), dichiarò di non avere saputo che l'allora sostituto procuratore Francesco Saverio Brancaccio e l'allora Gip Vittorio Zanichelli avevano emesso un ordine di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti per un appalto dell'Università (evidentemente ritenuto poco ortodosso), e che quel provvedimento restrittivo della sua libertà personale non era mai stato eseguito perché revocato immediatamente dopo essere stato emesso dai due solerti magistrati del Tribunale di Parma. Una storia fantozziana o, meglio ancora, alla Totò che non potevano certo raccontare ai nipotini, invece, due suoi coimputati (due "disgraziati" tecnici che secondo l'ipotesi accusatoria avevano partecipato a truccare la gara) prelevati dai carabinieri quell'estate, uno mentre era in vacanza al mare e l'altro in montagna e cacciati in galera senza tanti se e tantti  ma.
Al Pizzarotti, quindi, non solo fu evitato l'ingresso nel carcere di via Burla che ben conosceva perché la sua ditta lo aveva appena costruito, ma anche l'imperdonabile (aggravato da una vera e propria lesa maestà) affronto di avere emesso nei suoi confronti, e senza il suo consenso, quell'ordine di cattura. Imperdonabile ancor più perché a richiederlo era stato il Brancaccio, suo compagno di merenda (nel vero senso della parola) visto che si recava al pomeriggio a giocare a pallone nella sua tenuta di campagna ad Ozano Taro. E a firmare e poi a revocare immediatamente dopo quell'ordine di custodia cautelare era stato il giudice Zanichelli, suo compagno di studi e, secondo una nota interrogazione parlamentare, anche lui saltuariamente impegnato in partitelle cameratesche in quel campetto da calcio sulla riva del Taro. Un uomo fortunato, quindi, il Pizzarotti, perché non capita a tutti di essere giudicati per presunti gravi reati contro la Pubblica Amministrazione da un paio di soggetti che sarebbero stati poi presi da inconfessabili sensi di colpa se avessero sbattuto in gattabuia l'amico di tante avventure.
Tornando alla "mafia capitale" e a qull'appalto taroccato vinto da una associazione di imprese della quale faceva parte anche la Pizzarotti, a pensarci bene mi viene però il dubbio cheil re dei palazzinari di Parma non sia poi stato tenuto completamente all'oscuro da quella schifezza di gara confezionata sulla pelle degli ultimi della terra per far vincere anche lui l'appalto. Qualcosa, a pensarci bene, secondo me, doveva sapere. Non foss'altro perché quella nefandezza d'appalto - ora commissariato dal dottor Cantone dell'Autorità preposta a contrastare la dilagante corruzione negli appalti pubblici - somiglia tremendamente all'appalto della Tangenziale Sud di Parma.Le analogie sono impressionanti. L'unica differenza sta nel fatto che nel caso dell'appalto pilotato della Tangenziale Sud di Parma la Pizzarotti era capofila di una cordata di imprese bianco-rosa (democristiane e socialiste) e cooperative rosse (comuniste), mentre in questo del Cara Mineo si trova in posizine più defilata, facendo parte di una associazione di imprese, consorzi e cooperative di variegati colori e confessioni religiose (Comunione e Liberazione in prima fila) nella quale non appariva come la capocordata.
Speculare, invece, il sistema usato per far vincere i predestinati: confezionare dei bandi su misura per i vincitori. Nel caso della Tangenziale Sud fu l'assessore Brenno Begani a raccontarlo  al Pm Brancaccio (sempre lui, amico di Pizzarotti) e al giudice Zanichelli (sempre lui, l'amico di Pizzarotti) nel processo farsa che finì con una sentenza farsa (prescrizione per tutti gli imputati):
"Prima di affrontare la stesura del bando", raccontò Begani "decidemmo in Giunta di riunire in due stralci di lavori in modo da  porre delle griglie di partecipazione molto alte eliminando conseguentemente la partecipazione come capigruppo di imprese medio piccole. Una scelta ben precisa perché così facendo restringevamola partecipazione in Parma a due o tre imprese. Poiché due di queste, e cioè la Bonatti e l'Incisa erano rivolte, all'epoca, più al mercato esterno, praticamente in Parma l'unica ad avere i numeri richiesti dal bando era la Pizzarotti".
Giù in Sicilia, invece a cantare è stato Buzzi che, interrogato dal Pm Cascini, titolare della grande inchiesta su Mafia Capitale che sta facendo tremare il Campidoglio, dice:
 "Io sono un povero disgraziato, non so le cose direttamente su Mineo. A me questa storia l' ha raccontata Luca Odevaine. So che il Consorzio indice la gara e credo che il sottosegretario Castiglione sia fortemente interessato a questa cosa, e fa si che la gara venga aggiudicata, almeno così, venga, insomma, indicato chi è il soggetto che dovesse vincerla nel 2012. Doveva vincerla un'Ati, questa Ati che c'era, che era costituita tra chi faceva i servizi di accoglienza, tra chi faceva i servizi di ristorazione, tra Pizzarotti che manteneva l'immobile. Poi nel 2014, la gara viene bandita nuovamente perché era scaduta la prima e la gara è stata riaggiudicata con un bando sartoriale... perché se tu mi prevedi un bando che doveva avere il centro cottura a 20 km, e ce l'ho solo io il centro cottura a 20 km, solo io posso partecipare. Nessuno potè partecipare, questo è quello che mi ha raccontato Odevaine. E' la gara da 150 milioni di euro, eh!".
Dalle "griglie" parmigiane al bando "sartoriale" catanese il passo è breve e  assomiglia in modo impressionante ad un sistema collaudato e blindato per pilotare le gare d'appalto che a Parma ebbe un felice epilogo giudiziario soprattutto perché uno dei principali imputati, il Pizzarotti,  veniva ancora una volta giudicato dai suoi due amici con la toga e soprattutto perché altri due possibili protagonisti di quella gara fraudolenta, il sindaco Grossi e il vice sindaco Ubaldi, nemmeno figuravano fra gli imputati: veniva fatto tutto a loro insaputa. Le retate di Tangentopoli erano ancora da venire e i panni sporchi anziché in Tribunale si lavavano in famiglia. Voce 16.06.2015     
        

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